Tommaso d’Aquino commenta il Padre Nostro

 

 

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Tommaso d’Aquino (1225 -1274), dottore della Chiesa, è l’autore di una monumentale sintesi teologica del pensiero cristiano medievale, – quadro di riferimento della teologia cattolica -, che ha accompagnato nei secoli lo sviluppo della stessa teologia. Dai suoi contemporanei fu chiamato “dottore angelico”, quasi  per sottolineare la profondità della sua dottrina e la sua santità di vita. È stato realmente un grande maestro di dottrina e di sapienza, ma non solo. Uomo del suo tempo egli ha saputo, e ha voluto, collegare la teologia alla vita, mettendo a disposizione di tutti i credenti, colti e incolti, le sue doti speculative, nella consapevolezza che la teologia non è un esercizio puramente  intellettuale, ma è, soprattutto, il racconto dell’amore di Dio per l’uomo e dell’amore dell’uomo per Dio. È per questo che, prima ancora di essere insegnate, le verità proclamate erano da lui vissute intensamente, inverate nella sua vita. Nella sua vasta produzione teologica, accanto alla Summa Theologica  eai grandi commenti filosofici e scritturistici,  sono da considerare  non meno importanti quattro opuscoli spirituali, composti da Tommaso nell’ultimo anno della sua vita. Sono dei brevi commenti, sotto forma di predicazione popolare, al “Credo”, al “Padre Nostro”, all’ “Ave Maria” e al “Decalogo”. Con essi Tommaso costruisce un compendio di vita cristiana. La sua “summa theologica” è qui come spezzettata in piccole parti e offerta in dono a quanti vogliono vivere e approfondire la fede cristiana. Nella preghiera del “Padre Nostro” Dio, – afferma il santo dottore -, si fa incontro all’uomo e dialoga con lui.

1.      La predicazione quaresimale di Tommaso d’Aquino

Durante la quaresima del 1273, un anno prima della sua morte, San Tommaso d’Aquino, già stanco e malato, dal pulpito di S. Domenico Maggiore di Napoli predicò il quaresimale al popolo napoletano e agli  studenti dello studio fondato da Federico II. L’eccezionalità della circostanza e le modalità di quella predicazione riemersero durante il processo di canonizzazione di fra Tommaso, che si concluse nel 1323, nel ricordo di alcuni  testimoni che vi parteciparono. Essa segnò, comunque, uno dei momenti più importanti della vita di Tommaso, al culmine della sua fama di maestro. Perché, poco tempo dopo la predicazione della quaresima a Napoli, alla fine del mese di settembre di quello stesso anno, dopo una visione avuta  mentre celebrava messa nella Chiesa di S. Nicolò a Roma, il santo dottore ebbe una trasformazione radicale sorprendente. Da metà ottobre del 1273, egli non scrisse e non dettò più nulla, si disfece perfino degli strumenti necessari per la scrittura. Al suo segretario Reginaldo da Priverno, sorpreso e preoccupato da questa decisione improvvisa e inaspettata, ebbe a dire «Non posso più. Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto con quanto ho visto». L’ultima fatica di Tommaso, – la predicazione del quaresimale a S. Domenico Maggiore -,  può essere considerata, perciò, come il suo testamento spirituale, la conclusione della sua stessa vita di “discepolo della Parola”.

Quello di predicare agli studenti, oltre che di insegnare, era allora uno dei compiti di ogni maestro di teologia, regolato secondo luoghi, tempi e orari prestabiliti. Il tempo della quaresima, che iniziava allora nella sua forma liturgica già dalla domenica di settuagesima, era il tempo più propizio, perché consentiva di avere a disposizione un periodo sufficientemente ampio per fare una catechesi completa della fede cristiana. Gli impegni di insegnamento di Tommaso, ritornato a Napoli nel 1272,  erano più limitati, dato il numero di studenti, inferiore a quello di Parigi, e  le dispute con i dotti erano meno impegnative e molto più ridotte.  Era, forse, la prima volta che Tommaso affrontava una prova  così faticosa, di fronte a un pubblico più eterogeneo, come la predicazione di un quaresimale, lungo allora otto settimane e mezzo, articolato in 59 (o 58) prediche, con inizio il lunedì 6 febbraio del 1273. Si può presumere che Tommaso finì di predicare il suo quaresimale il mercoledì santo 5 aprile, qualche giorno prima della domenica di Resurrezione di quell’anno, che cadde il 9 aprile.

La disposizione di spirito di Tommaso nella particolare  circostanza di quella predicazione era, però, ben diversa rispetto alla prassi quaresimalista consolidata del tempo. Non era soltanto il dovere proprio di ogni maestro di teologia di predicare ad animare il suo spirito, quanto la necessità interiore di offrire a un pubblico di fedeli più numeroso e in forma più comprensibile i risultati della sua ricerca teologica. La stessa scelta di Tommaso  di commentare nella predicazione testi abbastanza conosciuti dagli ascoltatori esprimeva questa stessa necessità.  La sintesi teologica, alla quale aveva lavorato così intensamente negli anni dei suoi studi e del suo insegnamento a Colonia, a Napoli,  a Parigi e in altri Studi del suo ordine, non poteva essere confinata esclusivamente nei luoghi di studio claustrale o universitario, perché doveva trasformarsi  in predicazione e in vita vissuta, per diventare un aiuto spirituale, – una forma di nutrimento -, cui tutti i fedeli potevano attingere nel loro cammino verso Dio. Il quaresimale predicato da fra Tommaso diventa in tal modo l’ultimo dono della sua somma intelligenza, messa a servizio per una grande causa, avvicinare, cioè, l’uomo al mistero di Dio. Le sue doti speculative, applicate alla predicazione, gli permettono una operazione di notevole spessore teologico che si costituisce come modello dei tanti catechismi universali della Chiesa Cattolica, non ultimo quello pubblicato nella sua forma definitiva da Giovanni Paolo II il 15 agosto 1992 con la lettera apostolica Laetamur Magnopere. Lo schema seguito dall’ultimo Catechismo ufficiale è sostanzialmente lo stesso di quello proposto da Tommaso nel suo quaresimale napoletano.

 

 

2.     Il Padre Nostro nella catechesi di Tommaso

 

Nella predicazione quaresimale di quell’anno, Tommaso mette da parte le grandi questioni dibattute dalla filosofia del suo tempo, come pure le polemiche e le sottigliezze della teologia, fossero della scuola domenicana o della scuola francescana. Piuttosto, servendosi di testi propri della tradizione cristiana, che egli commenta, sviluppa una catechesi in forma organica del messaggio cristiano. Lo schema generale, che unifica tutta la sua catechesi,  è costruito sulle tre virtù teologali, – fede, speranza e carità -, quasi a indicare nel possesso delle tre virtù lo spazio di vita definitivo del credente nel suo cammino verso Dio. Il discorso del santo dottore inizia da una ricerca sulla fede per  arrivare al piano della carità, avendo come sfondo il piano  della speranza, come termine del cammino dell’uomo verso Dio e del suo stare con Lui. I testi scelti da commentare come oggetto della sua predicazione sono funzionali a sviluppare questa idea di fondo. La comunicazione è più immediata, ed anche più efficace, alla portata dei suoi ascoltatori, anche di quelli più incolti. È per questo che il santo dottore lascia da parte il latino, che era la lingua ufficiale per l’insegnamento della teologia e nelle dispute tra i dotti, e per esprimersi usa il dialetto napoletano, appreso al tempo della fanciullezza nel castello di Roccasecca da sua madre Teodora, nobile napoletana, imparentata con la famiglia dei Caracciolo. Solidità di dottrina, chiarezza espositiva, forza argomentativa, capacità di farsi ascoltare sono le caratteristiche delle prediche quaresimali di fra Tommaso. I testi commentati sono sviscerati dal santo con l’intento di far emergere dal profondo i significati che essi contengono e che non sempre compaiono a prima vista all’attenzione dei credenti. Sono significati di cui devono appropriarsi tutti i credenti, avendo come giuda un maestro d’eccezione come Tommaso. Fa da contrappunto a tutto il discorso, che giorno dopo giorno si dispiega davanti agli ascoltatori,  il ricorso continuo alla Scrittura, interpretata quasi sempre in maniera letterale, e ai Padri della Chiesa. Soltanto nel Commento al Padre Nostro  si contano 37 citazioni dai Salmi, 27 citazioni dai Libri Sapienziali, 49 citazioni dalle Lettere di Paolo e 37 citazioni dai Vangeli. Mentre tra i Padri il più citato è Agostino, 10 volte.

Come testimonianza di quel quaresimale memorabile sono rimasti quattro opuscoli, che sono la registrazione stenografica di cinquantotto prediche (o cinquantanove), tenute dal Dottore della Chiesa: un commento al Credo, al Padre Nostro, all’Ave Maria e al Decalogo. Seguendo lo schema delle tre virtù teologali, nelle prediche ai suoi ascoltatori, Tommaso d’Aquino si propone di rispondere alle domande fondamentali di ogni credente. Sono domande dalle quali i credenti si attendono delle risposte su cosa l’uomo debba credere, su cosa debba desiderare e infine su cosa debba fare. Domande e risposte rimandano alle virtù teologali, senza le quali l’uomo non può conseguire la salvezza. Il commento al Credo risponde alla prima domanda, quello al Padre Nostro  e all’Ave Maria alla seconda, quello al Decalogo  alla terza. Che questo fosse lo scopo di Tommaso lo dice lui stesso all’inizio della sua predicazione sul Decalogo, aprendo il ciclo sui dieci comandamenti messi a raffronto con i due precetti della carità: «Per conseguire la salvezza, – egli dice -, l’uomo deve conoscere alcune nozioni di base: cosa debba credere, cosa desiderare e infine che cosa fare. Alla prima esigenza ha risposto il “Simbolo”, che raccoglie gli articoli fondamentali della rivelazione, alla seconda la preghiera del “Padre nostro”, e alla terza, la “legge di Dio”». Da qui si può rilevare facilmente la coincidenza della sequenza delle prediche con l’oggetto delle tre virtù teologali. La predicazione di Tommaso costituisce un tutto organico, dove le singole parti  confluiscono in un discorso unitario sulla vita credente. Il risultato immediato è un modello di catechismo, costruito da una riflessione teologica  ancorata sul fondamento  della Scrittura. Come tale era adatto alla mentalità e alla preparazione religiosa di quei cristiani del basso medioevo, come lo è ancora, e forse in misura anche maggiore, per i cristiani di questo tempo.

Il Commento al Padre Nostro nell’ architettura data dal santo dottore ha un prologo, a cui seguono due meditazioni. Nel Prologo Tommaso insiste sulla “eccellenza” della preghiera e sui”vantaggi” che essa presenta, mentre nelle due meditazioni si sofferma sul significato della parola “Padre” e sul significato dell’espressione “che sei nei cieli”.  Segue il commento alle sette invocazioni del Padre Nostro. Ad ognuna di esse Tommaso ricollega uno dei sette doni dello Spirito Santo e una delle beatitudini nella versione che ne dà l’evangelista Matteo (Mt 5, 1-12). Da questo schema fuoriesce il commento alla prima invocazione, l’autore del quale, come ritengono gli storici, non è Tommaso, ma fra Aldobrandino da Toscanella, predicatore quaresimalista della Provincia di Roma, lettore a Pisa e in altri studi domenicani tra il 1287 e il 1293. A questa invocazione dovrebbe corrispondere il dono del timore, come è indicato all’inizio del commento alla seconda invocazione.

 

3.     Il significato del Padre Nostro

 

Il testo del Padre Nostro commentato da Tommaso è quello tramandato  nella sua versione più lunga dal Vangelo di Matteo (6, 9-13). È il testo privilegiato da sempre dalla Chiesa e in uso nella liturgia della Messa. La scelta di Tommaso di utilizzare il testo del Padre Nostro nella predicazione quaresimale  non poteva non cadere che sulla formulazione di Matteo, data la maggiore conoscenza che ne avevano i suoi ascoltatori. Nelle edizioni a stampa tra gli Opuscoli teologici  il  commento al Padre Nostro è collocato subito dopo il Commento al Credo , prima dei Commenti all’Ave Maria e al Decalogo. Questa collocazione segue una sua logica e presumibilmente rappresenta l’ordine stesso seguito da Tommaso nella sua predicazione napoletana.Il santo dottore lo dice chiaramente nel Prologo  al Commento al Decalogo, quando afferma che dopo la “scienza delle realtà del credere” e prima della “scienza delle azioni da fare” è necessario considerare la “scienza del desiderare”. La preghiera  del Padre Nostro e dell’Ave Maria rientrano nella “scienza del desiderare”. È così per l’Ave Maria, come anche, e soprattutto, per il Padre Nostro. L’uomo è, perciò, considerato da Tommaso nelle sue tre dimensioni costitutive, che sono il “credere”, il “desiderare” o lo “sperare” e il “fare”. E, forse, non sarebbe azzardato pensare che il credente realizza se stesso vivendo la sua vita sul piano del desiderio e della speranza. La speranza è creata sul  fondamento della fede e si nutre dall’impegno concreto nel realizzare  la volontà di Dio su ciascuno dei credenti.

         Tommaso commenta il Padre Nostro riferendo la preghiera alla seconda dimensione dell’uomo, che è quella del “desiderio” e della “speranza”. Il Padre Nostro invocato è il desiderio ultimo dell’uomo di far parte del Regno di Dio, la sua speranza definitiva di salvezza. Che cos’è il Padre Nostro, – si chiede Tommaso -, se non l’espressione della richiesta dell’uomo a Dio di essere uno strumento docile nelle sue mani, dopo aver riconosciuto la bontà di Dio su di lui? L’uomo scopre la Paternità di Dio e nello stesso tempo la sua figliolanza, perché Dio stesso nella figura di Gesù ha fatto conoscere all’uomo questa relazione originaria, che lega l’uomo a Dio. È questa l’ “eccellenza” del Padre Nostro  sulle altre preghiere: Dio stesso ne è l’autore e vuole che l’uomo si rivolga a lui chiamandolo Padre e se Dio è Padre di tutti, gli uomini sono necessariamente fratelli tra loro. Nel Padre Nostro Dio e l’uomo si trovano legati in maniera indissolubile nel mistero della salvezza.

Più che un commento, la predicazione di Tommaso sul Padre Nostro è una meditazione sull’amore del Padre per l’uomo e sull’amore dell’uomo per Dio. Nell’accostarsi al Padre il credente sperimenta la sua figliolanza, riconoscendo la paternità di Dio e ponendo a Dio Padre delle richieste che attengono alla dimensione  materiale e spirituale dei suoi giorni.  La preoccupazione iniziale del dottore della Chiesa è di sgombrare il campo dagli equivoci ricorrenti sulla preghiera: non è vero che la preghiera sia inutile o che sia una perdita di tempo. Egli riconosce che tra tutte le preghiere questa del Signore è  la preghiera più “eccellente”, perché presenta cinque caratteristiche, che ogni preghiera dovrebbe avere. Come ogni preghiera, che sia tale, la preghiera del Padre Nostro è “sicura”, “retta”, “ordinata”, “devota” e “umile”. Come tale «è rimedio efficace contro il male, perché innanzitutto libera dai peccati commessi […]. Libera inoltre dal timore di peccare ancora, dalle tribolazioni e dalla tristezza […]. Ci libera infine dalle persecuzioni e dai nemici». È, ancora,«il mezzo per ottenere tutto ciò che desideriamo». E, infine, «ci fa familiari a Dio».

 

4.     Il mondo dell’uomo nelle “parole” del Padre Nostro

 

Il riconoscimento della paternità di Dio non è senza conseguenze per l’essere dell’uomo, se la salvezza eterna è il termine del suo cammino nel mondo, come si auspica Tommaso alla fine della predica sul “Padre”. Da una tale Paternità riconosciuta e accettata derivano una serie di doveri verso Dio e verso l’uomo, cui nessun credente  può sottrarsi. L’uomo deve dare onore a Dio, deve imitarlo, ubbidirgli ed essere paziente nelle prove, cui egli è sottoposto da Dio stesso. «Il fatto, poi, che Dio venga chiamato Padre nostro, ci rammenta che noi abbiamo due doveri verso i nostri simili: l’amore e il rispetto. L’amore, perché sono nostri fratelli in quanto tutti gli uomini sono figli di Dio […]. Dobbiamo poi loro rispetto, trattandosi di figli di Dio». Dalla Paternità nasce la figliolanza e la figliolanza fa riscoprire la fraternità degli uomini.

         Nella preghiera del Padre Nostro, – come afferma Tommaso -, l’uomo, riconoscendo la grande bontà di Dio, sottopone con animo filiale al Padre di tutti una serie di invocazioni sotto forma di richieste a Dio stesso. Sono richieste che attengono, – le prime tre -,  al mondo stesso di Dio, e le altre quattro -, al mondo dell’uomo. Se nelle prime richieste si esprime il desiderio dell’uomo che Dio sia glorificato, che il suo regno si costituisca sulla terra e che la sua volontà possa realizzarsi già su questa terra, nelle altre richieste si manifesta il senso vero della vita credente, che nulla conserva per sé, ma tutto affida alla bontà di  Dio. La necessità di avere il nutrimento nel mangiare il pane, il bisogno di perdono e di misericordia, l’allontanamento delle tentazioni e la liberazione dal male disegnano una logica diversa, quella logica cristiana che rifiuta i valori mondani come valori ultimi dell’uomo, perché trova in Dio tutto il necessario per vivere e per sperare. Tommaso sottolinea i possibili errori nei quali l’uomo può cadere se la richiesta dei “beni materiali” ecceda una misura che privilegia il superfluo e lo spreco. «Lo Spirito Santo ci insegna ad evitare cinque peccati nei quali siamo indotti dal desiderio delle cose temporali. 1. Il primo peccato è che l’uomo spinto da smodata bramosia, cerca ciò che è al di là del suo stato e della sua condizione, non contento di quanto gli spetta […]. Un secondo vizio è quello di coloro che, per acquisire beni temporali, danneggiano gli altri e li defraudano. […]. Un terzo vizio è la soverchia sollecitudine.[…]. Un quarto vizio  è l’ingordigia.[…]. Il quinti vizio è l’ingratitudine. […]. Un altro vizio troviamo poi nelle cose del mondo, la eccessiva preoccupazione. Ci sono alcuni, infatti, che si preoccupano oggi di ciò che potrà succedere tra un anno e vi pensano continuamente, sempre inquieti, contrariamente a quanto esorta il Signore […]. Per questo il Signore ci insegna a chiedere che ci sia dato oggi il nostro pane, ossia quanto ci è necessario al presente».  La fiducia in Dio è sopra ogni altra cosa.

L’orizzonte di vita del credente, – afferma Tommaso -, è il presente quotidiano in una logica di partecipazione e di condivisione: si partecipa insieme alla vita di Dio, si spezza e si condivide il pane con gli altri, – quello eucaristico in particolare -, si chiede  a Dio il perdono e la misericordia e si dà nella stessa misura perdono e misericordi ai fratelli. Non essere schiavi delle tentazioni ed essere liberati dal male sono le ultime richieste di chi prega il Padre.

Roco Pititto

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