Padre Nostro – Una chiave di lettura

 

tissot-padre-nostroIl Padre Nostro è la preghiera per eccellenza dei cristiani. Insegnata da Gesù, è collocata da Matteo nell’ampio contesto del Discorso sul monte, un testo redazionale, abbastanza composito, che contiene una serie di insegnamenti e di istruzioni di Gesù e costituisce, come afferma Agostino, il «modello perfetto della vita cristiana» (Il sermone della montagna 1,1), cui deve conformarsi ogni discepolo alla sequela del Maestro Gesù. La comprensione del significato del Padre Nostro, che ne hanno i cristiani, non sempre, però, è adeguata e sufficiente. Spesso la semplice ripetizione delle parole nella preghiera individuale, biascicate stancamente e meccanicamente, non consente un approfondimento reale del testo e un entrare dentro il senso delle parole. Sfugge ai più la ricchezza del testo, che, invece, si dà a conoscere già a partire da una prima analisi della sua struttura e disponendo di una chiave di lettura. Comprendere meglio il testo del Padre Nostro, entrare nella profondità dei significati che in esso si esprimono, significa imparare a pregare meglio e stare in comunione con Dio. Nell’ascolto comprendente al credente si apre la profondità della presenza incommensurabile del Padre, che  si fa incontro e dialogo e fissa una dimora stabile in lui.

          1.     La centralità del Padre Nostro nel Discorso sul monte

Rispetto ad altre preghiere, proposte nella liturgia dalla Chiesa, ilPadre nostro (Mt 6,7-13 ) ha una sua particolarità distintiva nell’essere la preghiera che Gesù stesso ha lasciato ai suoi discepoli come segno del suo amore per l’uomo, espressione della sua fraternità universale e via privilegiata per vivere nell’amore con Dio e con i fratelli. Tutto il testo del Discorso converge verso la preghiera del Padre Nostro, che si costituisce come elemento unificatore di tutte le sue parti. È per questo che il Padre Nostro può essere considerato come principio e fondamento del Discorso sul monte (Mt 5-7). Di più l’impianto del Discorso si regge nella sua articolazione su questa preghiera di Gesù. Perché, collocato nel mezzo di un discorso complesso, ricco di precetti e di richiami, di cui è difficile comprenderne la struttura, il testo del Padre Nostro rende  manifesto ed esplicita il senso della doppia relazione che si crea tra il Padre  invocato nella preghiera, il credente orante e tutti gli uomini. Al riconoscimento da parte dell’uomo della grandezza di Dio Padre e alla sua invocazione segue l’affidamento fiducioso a Lui nella precarietà della condizione umana di ciascuno. La dipendenza da Dio, creatore del mondo e dell’uomo, riconosciuta e accettata, diventa l’invocazione a Dio perché il Padre non si dimentichi dell’ uomo, sua creatura, anche nelle sue necessità materiali e lo preservi dal male. La relazione di paternità  fonda la relazione di figliolanza. Padre e figlio costituiscono nella preghiera una unità di destino.

          Nel Discorso sul monte Matteo presenta Gesù come il nuovo Mosè e il monte da cui il maestro parla è il nuovo Sinai, quello definitivo, geograficamente non più determinabile, perché non ha più  confini riconoscibili. Ora il luogo del monte è il mondo intero. Nella sua costruzione il discorso pronunciato da Gesù  si costituisce come la nuova Torah, che non si rivolge più al solo Israele, ma all’umanità in generale, perché tutti gli uomini sono indistintamente  chiamati alla santità: «Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo» (Lv 19, 2). La nuova Torah non sostituisce l’antica, ma la completa e la perfeziona. Perché nel nuovo tempo della salvezza tutti quelli che ascoltano la parola e la mettono in pratica diventano suoi discepoli. Non conta più la provenienza degli ascoltatori, ma l’ascolto con animo sincero da parte della parola che salva, la risposta senza incertezza alla chiamata del Padre e l’inizio di una nuova esistenza nella sequela di Gesù.  Si diventa figli perché c’è un Padre, che si avvicina all’uomo e si prende cura di lui. Israele estende ora i suoi confini fino all’estremità della terra. Nell’ascolto della Parola nasce la comunità dei credenti e la preghiera comune, pronunciata da Gesù, è il legame che lega insieme i discepoli al Padre nel riconoscimento di una paternità universale, che tutti comprende. Solo il popolo delle Beatitudini può invocare il Padre come Nostro, perché dall’annuncio delle Beatitudini nasce la comunità degli eletti, passati attraverso il fuoco del regno messianico.

         Il nome “Padre” non è un elemento secondario nella articolazione del Discorso sul monte. Ricorre, invece, di frequente e costituisce il termine di riferimento attorno a cui si muove tutto il Discorso, anche nella sua forma letteraria. Le occorrenze del nome sono distribuite equamente nelle tre parti del Discorso. Non sembra un caso se il nome “Padre” compare 5 volte nella prima parte del Discorso, 5 volte nella parte conclusiva, 5 volte nel corpo centrale che comprende il testo del Padre Nostro. È una presenza costante non priva di significato per la comprensione del testo. «È difficile che ciò non sia stato voluto e l’autore non abbia avuto lo scopo di farci capire che il tema della paternità di Dio, espresso nel Padre Nostro, è davvero fondamentale, centrale, originante dell’intero Discorso»(C.M. Martini,  Il discorso della montagna, Milano 2012, p. 36 ).

          Meditando sul Padre Nostro, il card. Martini sottolinea due aspetti dai quali emerge nettamente la centralità del Padre Nostro nel Discorso sul monte. Da una parte, il  Discorso  si costituisce come uno sguardo che converge su un Dio conosciuto come Padre. Esso «ci insegna quindi a vivere la paternità divina e la nostra figliolanza o la sororità fra noi, per essere veramente figli del Padre. La grande immagine di Dio come Padre si coniuga con quella di noi chiamati a essere gli uni per gli altri fratelli leali, veritieri, misericordiosi, rispettosi della parola data » (ivi, p.37). Dall’altra, «il Discorso può essere vissuto solo nella preghiera e a partire da essa. Perché praticare ciò che Gesù chiede è una grazia, non semplicemente un compito. Per questo il Discorso deve essere pregato, va intriso di preghiera, gli atteggiamenti che ci propone devono essere oggetto di intensa richiesta a Dio, in quanto non ne siamo capaci e Lui soltanto ce li può donare» (ibid.).

 La struttura del Padre Nostro

 Il Discorso sul monte del Vangelo di Matteo è il primo dei grandi discorsi sul Regno. Nel racconto di Matteo, Gesù sale sul “monte”, il nuovo Sinai, e come nuovo Mosè convoca davanti a sé tutto Israele per proclamare la “buona novella” e annunciare il Regno di Dio. Nel contesto del Discorso di Gesù, la preghiera del Padre Nostro non è un corpo estraneo, ma è motivo conduttore del Discorso stesso, la sua ragione e la sua spiegazione ultima. Già il testo greco del Discorso sul monte di Matteo nell’edizione del Nestle, senza considerare gli “a capo”, è composto da 303 righe, di cui 117 prima e 116 dopo la pericopa del Padre Nostro. Una singolare coincidenza, non solo quantitativa, che fa riflettere e sottolinea l’importanza di un testo, collocato in una cornice che si costituisce come un vero discorso programmatico, proposto alle “folle” da Gesù. Quello enunciato è un programma che tocca tutti gli aspetti della vita del seguace di Gesù. Il contesto matteano non lascia alcun dubbio: Gesù si rivolge ai suoi e li istruisce sul Regno. Come dice il Vangelo:  «Vedendo le folle, Gesù salì su monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo» (Mt, 5, 1-2).  La preghiera al Padre occupa, perciò, la parte centrale del Discorso. Costituito come un intermezzo all’interno di  un Discorso  molto impegnativo sul piano delle scelte fondamentali da fare, cui si è chiamati dalla sequela, il Padre Nostro rappresenta il modello di preghiera proposto da Gesù ai suoi discepoli.

              Due sono nei Vangeli le redazioni del Padre Nostro,  la prima quella di Matteo, adottata dalla Chiesa nella liturgia e diventata la preghiera più  comune dei cristiani, la seconda quella di Luca, meno conosciuta dell’altra. Rispetto al testo di Matteo, quello di Luca è più breve e diverso è il suo contesto. Se Matteo propone il testo del Padre Nostro come modello di preghiera al Padre, Luca, invece, colloca il testo nel contesto del viaggio decisivo che Gesù compie andando  verso Gerusalemme, nel mentre il Maestro va incontro alla sua morte nel compimento della volontà del Padre su di Lui. Anche il contesto più immediato del testo di Luca è un contesto di preghiera ed è la risposta a una richiesta precisa di un discepolo. «Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare. Quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. Ed Egli disse loro: “Quando pregate, dite […]»(Lc 11,1-2). Non è importante, perciò, sapere quale tra le due versioni, – quella di Matteo o quella di Luca -, sia più vicina all’originale e quale il contesto più appropriato. La prospettiva, da cui partire, è di comprenderne  il suo significato più pieno e di realizzarne i contenuti nella propria esistenza. Giova ricordare, però,  che «Nell’una come nell’altra redazione noi preghiamo insieme con Gesù e siamo grati che nella forma matteana delle sette domande si presenti chiaramente sviluppato ciò che in Luca sembra in parte solo accennato» (J. Ratzinger, Gesù di Nazaret, Roma-Milano 2007, p. 163). Lo scopo di Matteo è di rappresentare la continuità dell’alleanza con Dio e, insieme, il suo superamento nella figura di Gesù.

         La struttura del Padre Nostro, tramandata da Matteo, è composta da una invocazione iniziale a Dio Padre, cui fanno seguito sette richieste sotto forma di domande, delle quali si richiede il loro compimento già ora sulla terra. Di queste domande tre sono costruite alla seconda persona singolare, le altre quattro, invece, alla prima persona plurale. Le prime tre domande si riferiscono a Dio Padre, alla sua azione nel mondo e all’instaurazione del suo Regno, le altre quattro sono formulate al plurale e «riguardano le nostre speranze, i nostri bisogni e le nostre difficoltà». L’uomo orante non è più solo, perché si rivolge al Padre nella sua condizione di essere plurale, nel riconoscimento di una paternità, che rende tutti figli di uno stesso Padre. Tra i due tipi di domande c’è una relazione molto stretta. Il richiamo, come afferma Papa Benedetto, è alle due tavole del Decalogo, che affidano la risposta dell’uomo all’alleanza nel compimento di un unico comandamento, che riassume la Legge, – l’amore verso Dio e l’amore verso l’uomo -. È per questo che  «Si potrebbe paragonare la relazione tra i due tipi di domande del Padre Nostro con quella tra le due tavole del Decalogo che, in fondo, sono spiegazioni delle due parti del comandamento principale, – l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo -, parole guida nella via dell’amore» (ivi, p.164). 

           2.     Una chiave di Lettura del Padre Nostro

 La preghiera del Padre Nostro inizia con l’affermazione del primato di Dio sul creato e prosegue con l’enunciazione delle condizioni necessarie di una vita redenta sotto lo sguardo di Dio. Essa «ci mostra il volto del Padre, e ci interroga profondamente. Se ce ne lasceremo scuotere e interpellare, si avvererà per noi la parola “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8)» (C.M. Martini,  Il discorso della montagna, cit., p. 41). Sperimentando e vivendo la paternità di Dio «diviene evidente che “essere figli” non significa dipendenza, ma quel rimanere nella relazione di amore che sostiene l’esistenza umana, le dà senso e grandezza» (J. Ratzinger, Gesù di Nazaret, cit., p. 168). Venendo da Dio, l’uomo vuole ritornare a Lui, nel vincolo di quella paternità di Dio «dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e in terra» (Ef 3,14). Con la preghiera si entra nella vita del Padre.

          Sullo sfondo dell’invocazione al Padre  c’è «il desiderio ardentissimo che si compia il disegno di Dio su di noi e sul mondo, che il Regno si manifesti» (C.M. Martini,  Il discorso della montagna, cit., p. 38). Le prime tre domande del testo di Matteo esprimono questo desiderio  del seguace di Gesù: «Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra». Così prega il Padre il discepolo di Gesù. Il compimento della volontà di Dio nel mondo, che è opera di Dio stesso, si realizza con il riconoscimento della santità del nome di Dio e la sua glorificazione e con l’avvento del Regno di Dio, qui e ora, come inizio del regno escatologico. Se questa è la condizione definitiva del creato, quando Dio sarà «tutto in tutti» (1Cor 15,28) e «il Signore sarà l’unico e unico sarà il suo nome» (Zac 14,19), il seguace di Gesù nella sua invocazione al Padre chiede  una anticipazione, quasi come una caparra, del Regno futuro. Gesù stesso, alla fine del suo Discorso, dà un fondamento alle richieste dei suoi discepoli e assicura che saranno esaudite dicendo loro: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto» (Mt, 7,7-8). Il Padre stesso sarà la risposta unica alla preghiera dei suoi figli.   

          Le tre domande iniziali, come le altre quattro successive, sono indirizzate al Padre. La parola “Padre” non indica  una paternità universale, astratta e indeterminata, perché in essa si riassume la storia della salvezza e il mistero della redenzione. Quella evocata dal nome “Padre” è una paternità concreta e reale, che conduce a una figliolanza altrettanto concreta e reale. Perché il Padre invocato è il Padre di Gesù Cristo ed è anche Padre “nostro”, perché, creati da Dio, Egli è Padre di tutti noi. Se la figliolanza di Gesù Cristo è l’espressione della sua generazione da parte del Padre nella vita trinitaria,  nel tempo della salvezza la “nostra” figliolanza dal Padre lo è diventata anche in virtù del battesimo ricevuto. L’essere diventati “nuova creatura” (2Cor 5,17) ricrea una figliolanza originaria, che il peccato di origine aveva offuscato. Ognuno di noi è diventato figlio di Dio nel battesimo e può invocare Dio come Padre.

          Il pronome “nostro” indica il legame strettissimo, che si crea tra Dio e l’uomo e tra gli uomini tra loro e il Padre. Il rapporto con Dio non è così particolare da far pensare a una relazione assolutamente personale tra Dio e il credente, tale da escludere dalla relazione gli altri e da consentire di presentarsi a Dio da soli pregandolo come “Padre mio”. E, invece, dicendo “Padre Nostro” si realizza l’apertura incondizionata all’altro. A Dio non si può andare da soli, ma insieme con gli altri, nella compagnia degli uomini. «Il Padre Nostro vuole che preghiamo unanimemente: quel “nostro” non è semplicemente un richiamo di sfondo (ci sono anche gli altri, c’è la Chiesa); noi preghiamo nella Chiesa, con la Chiesa, nella totalità della Chiesa» (ivi, p. 39). La parola “nostro” è, perciò, quanto mai impegnativa. Essa «ci chiede di uscire dal recinto chiuso del nostro “io”. Ci chiede di entrare nella comunità degli altri figli di dio. Ci chiede di abbandonare ciò che è soltanto nostro. Ci chiede di accogliere l’altro, gli altri – di aprire a loro il nostro orecchio, il nostro cuore» (J. Ratzinger, Gesù di Nazaret, cit., p. 171). Perché, «Il Padre Nostro fa di noi una famiglia al di là di ogni confine» (Ibid.)

          La preghiera del Padre Nostro «comincia con Dio e, a partire da Lui, ci conduce sulle vie dell’ essere uomini. Alla fine scendiamo sino all’ultima minaccia per l’uomo, dietro cui si apposta il Maligno – può affiorare in noi l’immagine del drago apocalittico che fa guerra agli uomini che “osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù” (Ap 12,17)» (ivi, p. 164).

Rocco Pititto

(Articolo tratto da “Campania Serafica”)

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